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Zero

31 Mar

Accendo la seconda sigaretta con il mozzicone della prima.
Sono a casa di mia madre, passerò qui Pasqua e Pasquetta, martedì tornerò a casa.
Oggi mi hanno informato che uno dei vecchi amici del bar è morto ieri. Infarto.
Chi va per certi mari…
È l’antico adagio che funziona da epitaffio per quasi tutti quelli che ho conosciuto, e che non sono più tra noi.
Guardo le colline dal terrazzo e cerco di non pensare a niente. Ho la testa piena d’aria cattiva.
Voci dal monitor, vecchi attori italiani, vecchie glorie di un’epoca scomparsa ed irripetibile.
Faccio avanti ed indietro tra terrazzo e sala da pranzo.
Non fumo in casa. Ma non posso stare senza sigaretta in bocca.
L’aria è troppo leggera, come l’acqua è troppo insapore.
Ho bisogno di altro. Fumo ed alcool. E una parola di conforto ogni tanto. Ma a quelle ho rinunciato da tempo.
Così mi accontento di bere e fumare.
E se i risvegli sono così dolorosi posso solo fare finta che non sia un mio problema.
È un problema che riguarda i miei polmoni, non me.
È un problema che riguarda il mio fegato, non me.
Ho bisogno solo di soldi. Tutto il resto è accessorio.
Con le tasche piene non ci sono problemi di cuore né di anima.
È la grande realtà moderna.
Con il conto gonfio non c’è male d’amore.
Con il cash flow non c’è rimpianto che tenga. Ci sono solo banconote da spendere fino a che non passa ogni pensiero. Con ogni mezzo necessario.
Il cuore spezzato è per i morti di fame. Il dolore è per chi non ha mezzi a sufficienza per farselo passare.
Se adesso, invece di queste lucky strike, stessi accendendo grasse canne di lemon haze o di white widow, non starei a farmi problemi di nessun genere. Se adesso avessi l’auto fiammante ad aspettare sotto casa, non starei a pensare a quanto mi manca chi mi manca.
Se adesso avessi tre carte di credito cariche, starei solo a scegliere il posto in cui andare a stendermi a scaldarmi al sole.
Ed ubriacarmi con prodotti di qualità. Con una busta di bamba da scaldare nel piatto, giusto quel tanto che basta a mantenere il contegno necessario ad affrontare la serata.
Magari in compagnia di qualche amico a cui offrire tutto quello che vuole.
Invece non ho una lira. Passo sti giorni in famiglia. Come quando ero ragazzino.
Non faccio più parte della famiglia che ho costruito, mi è rimasta una parte di quella da cui vengo.
Che qualcun altro ha costruito per me.
E per quanto cerchi di non pensare a niente non ci riesco. Sempre perché sono solo un cazzo di morto di fame.
E come tutti i morti di fame credo ancora che certe cose possano accadere davvero, anziché capire che non succede mai niente. È tutta sempre e solo un’impressione, la più sbagliata.
L’illusione serve a dimenticare che non arrivi a fine mese.
Il sogno ti aiuta. La parte onirica della vita è quella che potrebbe essere la più importante. Peccato che le bollette si paghino da svegli.
Ogni dolore provato dormendo è un dolore privato, che si risolve solo al risveglio. Con quel bruciore nel petto e quella voglia di bruciare tutto ciò che si frappone tra noi e la pisciata che comprime la vescica.
Il caffè sul fuoco. Il sapore di sconfitta.
Tu che eri quello che eri e che adesso non so nemmeno cosa sei. È un inneggiare a una squadra solo per non dirsi parole d’amore. Un codice cifrato come un altro.
Finita la guerra, finito il codice. Restano solo scritte. Tatuate o impresse a pennarello.
Solo scritte. Solo parole senza nessun senso. Inguaribili romantici hanno sintetizzato l’eroina per dimenticare ogni frase detta. Inguaribili romantici hanno distillato alcool e fragranze, solo per poter dire scusa ero troppo ubriaco, non ricordo nemmeno cosa ho detto.
La notte è senza stelle. Mi manca il mio letto vuoto, ora che dormo in un altro letto, vuoto.
Vorrei guardare nel mucchio di volti e trovarne uno che valga la pena guardare.
Non ce ne sono. Nessuno che somigli all’unico che mi fa desiderare di essermi voltato dall’altro lato per tempo.
Se non fossi mai sceso da quella macchina ora le cose sarebbero diverse, forse.
Ma la via per l’inferno, oltre che dalle buone intenzioni è lastricata dalle possibilità non colte. Un universo di probabilità mi ha portato esattamente dove sono. Sotto un cielo velato, con le colline ad un passo, invisibili dietro una coltre.
Sotto un cielo scuro dove le stelle non si fanno vedere e la luna è sparita.
Fosse sparita per tempo non saremmo nemmeno qui, a dirci amenità. Mentre aspettiamo di vederci. Mentre aspettiamo di toccarci. Per sapere che è tutto vero.
Fossi pieno di soldi non mi farei tanti problemi: sarei uno stronzo in giro per locali di grido, a cercare e trovare il modo per zittire tutta la maledetta voglia che ho di sentire che sapore hai.
Stavolta magari avrai qualcosa di diverso da dire. Stavolta magari ci sarà, di nuovo, qualcosa o qualcuno, che si mette tra noi.
Ed essendo povero in canna potrò solo soffrire. Come soffrono i morti di fame.
Fossi ricco come dovrei, nemmeno starei ad aspettare. Steso su una spiaggia colore della farina, circondato da abbronzate senza volto, mi farei allisciare le rughe del cervello solo per non darti più soddisfazione.
Invece eccomi qui, in un matrimoniale riempito a metà, con troppe parole non dette, a diteggiare su una tastiera a contatto. A filosofeggiare su sensazioni a contratto.
aspettando soltanto il momento di tornare a casa. Dovunque essa sia.