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L’uomo cemento

3 Mar

Quando capitava roba del genere, di alcool ne toccava pochissimo.
Erano due giorni che stava con gli occhi abbottonati, l’espressione ebete ed uno strano relax in tutto il corpo.
Continuava a guardare sketch comici su vhs, e ridere da solo.
Il cielo seguitava a passare da chiaro e terso a grigio e macchiato di nuvole scure.
A tratti pioveva, veniva giù un’acqua leggera che lui si limitava ad osservare.
Sul tavolo basso da caffè c’erano mucchi di lettere e fotografie, biglietti pieni di brevi messaggi innamorati. Li aveva letti e riletti, ogni tanto trovandoci dentro significati nascosti che apparivano chiarissimi per un istante, poi scomparivano di nuovo.
Si era incastrato sulle foto sempre con la stessa espressione ebete.
Poi aveva tritato l’erba, aggiunto un po’ di tabacco e girato il tutto nell’ennesima cartina lunga.
Due tiri, due boccate sbuffate fuori, tosse con lacrima, occhio a mezz’asta, palpebre pesanti ed ingombranti come due fette di guanciale.
Play.
Gli sketch comici ripartono nel televisore.
Si stende sul divano con la testa pesante ed allo stesso tempo leggerissima.
Tutta l’ansia, quella strana sensazione di essere in ritardo per un appuntamento inesistente, si erano asciugate come crema idratante su una pelle secca.
Ed ora si sentiva in pace col mondo.
No.
Si sentiva al riparo da un mondo che comunque gli stava dando la caccia.
Un movimento fatto male.
Un vizio così radicato da essere quasi congenito, scritto nel dna come era scritto che dovesse avere inutili e poco efficienti occhi chiari.
Lui ed i suoi soci erano andati sotto di un milione e mezzo di lire in un pomeriggio.
Quella magari, in varie forme, poteva essere una giustificazione tanto all’ansia quanto a quel senso di essere in ritardo.
Ma erano una costante nella sua vita, tanto quando scremava abbastanza da un movimento da mettersi in tasca soldi e sostanza a sufficienza, quanto quando si trovava indebitato e senza alcuna certezza di avere bamba a sufficienza per rientrare del buffo con l’avvocato.
Erano una presenza costante, come l’ombra in presenza di una qualsiasi fonte di luce.
In ogni modo ora, mentre osservava l’ennesimo comico fare il suo monologo, era così fatto da sentirsi separato in vari sacchetti e ricomposto a forma di lui.
L’uomo cemento. Si sentiva pesante come un pilone autostradale. Ed allo stesso tempo, gli sembrava che ogni cosa fosse al suo posto come raramente gli capitava.
Sapeva che in qualche modo dovevano trovare sti soldi. Ci vorrebbe un colpo di fortuna. Un coglione imballato di soldi che non capisce la differenza tra taglio e merce.
Ce n’erano tanti. Ma al momento erano tutti lontani, e l’uomo cemento in due ragionamenti aveva finito tutte le energie.
Ma quella speciale rilassatezza, quasi un Nirvana, che aveva raggiunto, era andata a quel paese.
L’avvocato avrebbe rotto i coglioni.
Ora saliva la paranoia.
Aveva sempre visto l’avvocato come un povero scemo che non faceva altro che medicarsi le ferite, provocate dalla donna con cui stava, che lo massacrava di botte ad ogni passo falso.
Siccome camminava sulle uova, di passi falsi ne faceva in continuazione.
Però per scemo che fosse, muoveva tanta roba. In vari ambienti. E continuava a chiamare l’isola. Telefonate puntuali ogni giorno.
Forse non era davvero l’ultimo dei coglioni come aveva sempre creduto.
Paranoia a livello elevato.
Era ora che l’uomo cemento si desse una ripigliata e che chiamasse i ragazzi.
Forse c’era un modo.
Prima dei ragazzi chiama un altro numero.
I’omone risponde:
-Ah Sa’ ce serve da lavora’, dimme che c’è roba a breve
-Me chiami proprio a cecio, perché me servite tutti e quattro pe’ armeno du’ settimane
Ringrazia per un momento un dio a cui non crede, stende una riga piuttosto consistente, la guarda un po’ perplesso, la aggiusta, poi ne aggiunge ancora un pizzico e divide in due righe.
Gli sembra più contenuto, si sente uno che si droga responsabilmente.
In fondo sa che è un ragionamento così tanto da tossico da fare acqua da tutti i buchi che ha sulle braccia, però si sente ugualmente fiero di sé.
Anche se evita di guardarsi allo specchio.
Dà ste due botte cicciotte e si butta acqua fredda in faccia.
Una persona nuova.
Non è vero.
Un imbecille su un’altalena.
In ogni modo si veste, fa altre due telefonate ed esce. Con quel catorcio di scooter che gli hanno prestato, si dirigerà al mercato. La svolta è uscita fuori: sono tornati gli spogliarellisti americani e la troupe di tecnici e tutto l’entourage al completo.
Ci avevano lavorato due giorni un mese prima ed avevano scoperto che erano uno più drogato dell’altro, pieni di soldi e senza voglia di stare a creare problemi.
Erano un bancomat senza codici, aperto al pubblico.
-Attaccamo domani, rega’ avemo risolto. Non toccamo più la merce e cercamo de carica’ il più possibile. Du’ settimane, ma ve rendete conto de li sordi che famo?
-mo’ intanto andiamo a fare un brindisi, poi ragioniamo
La serata sarebbe stata lunga, movimentata, come mille altre.
La merce da non toccare sarebbe stata dimezzata prima dell’alba.
Alle 18.00 si sarebbero presentati con qualcosa, ed avrebbero prelevato in anticipo da una troupe ansiosa di farsi qualsiasi cosa avessero da proporre.
Ogni tanto bisognava dare una piccola mano al destino, perché si potesse compiere. Ogni tanto sarebbe stato meglio non farlo.
Ma questa è un’altra storia.