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Giallo Romano

22 Mar

Le mani giunte in preghiera, gli occhi chiusi. La testa adagiata su una giacca piegata. I lunghi capelli sparsi come un’onda. Il corpo è sdraiato, sembra dormire.
L’argine del fiume è coperto da scritte e graffiti, colori, targhe, fotocopie attaccate e fiori marciti. Il letto del fiume è asciutto, passiamo da una sponda all’altra a piedi. Mentre i passi alzano polvere leggerissima che si attacca alle scarpe, ai calzoni.
Un centinaio di curiosi sono assiepati dietro il cordone che la mobile ha formato. Arrivano quelli con le tutine bianche, coroner, vengono a rilevare tracce ed impronte che i nostri colleghi hanno già provveduto ad inquinare, muovendosi come scimmie ubriache attorno al cadavere.
Due testimoni, quelli che hanno trovato il corpo, sono seduti con l’aria stravolta.
Sono stati interrogati fino allo sfinimento da un agente con un accento così tanto marcato che a volte risulta difficile anche a noi comprendere cosa dica.
I due ragazzi sono stranieri, turisti, lei una francese che mastica pochissimo italiano, lui un capoverdiano che mastica pochissimo, e basta.
Immagino solo a guardarli la fatica enorme ed evidente che stanno facendo. Ordino a un agente in borghese di lasciarli andare prima che confessino di averla ammazzata loro stessi, pur di mettere fine ad un supplizio che va avanti da ore. Il loro unico sbaglio è stato chiamare ed aspettare, davvero, che arrivassimo noi.
Mi accendo la prima sigaretta del secondo pacchetto della giornata. E ancora non è nemmeno ora di pranzo.
Il mio telefono suona da ore. Ogni volta guardo lo schermo e poi tolgo la suoneria.
Se dovesse essere un superiore o un collega risponderei. Invece è sempre lo stesso numero, quello che ho cancellato dalla memoria interna e dalla sim. Ma che non ho cancellato dalla mia, di memoria.
-Randazzo?
-Dica commissario
-Salgo un momento, non fare avvicinare nessuno al corpo. Quando quelli del coroner avranno finito avvertimi per radio.
-Sì signor commissario. Ma dove va?
-Randa’, che è che ti dico sempre? Che te devi fa’?
-I cazzi miei signore.
-Bravo, prima o poi imparerai. Ho fiducia.
Salgo le scale, arrivo su strada. Il parapetto è affollato di gente che vorrebbe sapere qualcosa. E qualcosa mi dice che avremmo dovuto recintare anche la zona corrispondente al corpo, qui sopra.
Il lungotevere è intasato di auto come sempre, il nostro assembramento di volanti ed auto di servizio non aiuta sicuramente lo scorrere del traffico a questa altezza.
Mi infilo in un bar, ordino un caffè che mi viene servito in cinque secondi da uno zelante androide senza volto.
Stasera sarò a Malaga, ho appuntamento per cena con la mia ex moglie per questioni burocratiche, dopo cena tornerò a Roma.
Il viaggio dura dodici minuti in tutto.
Le auto terrestri sono per gente povera e impiegati statali, quali siamo noi. Ma anche il traffico aereo a quest’ora non è migliore.
Ci sono pendolari che ogni giorno attraversano tutta l’Europa per lavorare nelle compagnie finanziarie, nelle industrie e nei magazzini commerciali.
Roma è un piccolo centro nevralgico per quanto riguarda il settore turistico e manifatturiero. Malaga è uno sfizio che ci siamo voluti togliere anni fa, quando le ragazze erano ancora bambine. Ora loro sono rimaste lì. Ed io sono tornato in patria.
A fare il mio lavoro.
Sappiamo tutti che sarà sufficiente guardare le videocamere, controllare il chip del cadavere, e nel giro di un attimo avremo nome e cognome e volto del colpevole, ciononostante mi piace lavorare ancora alla vecchia maniera, finché è possibile.
Anche perché, ed è una pura curiosità che non influisce minimamente sulla pena prevista, quello che chip e videocamere non sono in grado di individuare, è il movente.
Passionale, economico, irrazionale.
Ce n’è sempre uno.
Ed una delle mie passioni è scoprirlo.
Per mera soddisfazione personale.
Come fossi un antropologo, mi diverto a studiare e classificare gli assassini.
C’era quel musicista del quartiere al di là del fiume che aveva ammazzato la madre tanti anni fa.
Le aveva reciso le vene dei polsi tanto a fondo da lasciarle le mani attaccate per un paio di filamenti di tessuto.
Poi era uscito in strada indossando la biancheria intima di lei.
Urlando:
-Sono una rana, sono il figlio di Thor.
Il nipote di Odino voleva dare ad intendere che la mamma si era tagliata le vene.
Avevo sospettato subito che fosse un espediente per appellarsi alla semi o totale infermità mentale.
Ascoltando le registrazioni delle cellule telefoniche era uscito fuori che l’avvocato gli aveva suggerito di farsi passare per pazzo totale.
Il raptus c’era stato, indubbiamente, ma il movente era esclusivamente questione di eredità.
Ormai erano ventidue anni che scontava la sua pena. Senza avere mai più dato in escandescenze. Ormai teneva corsi di pianoforte per altri detenuti all’interno del penitenziario.
Ancora non potevamo nemmeno contare sui chip impiantati. E videocamere in casa non ce n’erano.
Ormai era tutto diverso.
C’era questa splendida ragazza sdraiata sotto l’argine del fiume.
Qualcuno si era preoccupato, dopo averla ammazzata, di posizionarla come fosse addormentata. Senza alcun segno evidente di violenza. Non era stata strangolata. Forse avvelenata. Il coroner ci avrebbe dato il responso entro poco.
Mi accendo la quinta del secondo pacchetto per smorzare il sapore del caffè.
Il telefono suona di nuovo.
Stavolta decido di rispondere.
-Pronto
Silenzio dall’altro lato.
-Se devi dire qualcosa che pensi serva a cambiare la situazione, dilla, altrimenti smetti di chiamare.
Silenzio.
Avevo bloccato il numero tante di quelle volte, ma qualsiasi ragazzino era in grado di annullare ogni operazione con due semplici mosse. Che io non avevo mai imparato ovviamente.
Il mondo si era mosso in fretta mentre ero rimasto ancorato alle vecchie abitudini.
Il cicalino della radio.
-Signore?
-Randazzo dimmi
-La squadra scientifica ha finito. Dicono che sicuramente è volata giù. Hanno riscontrato tracce piuttosto leggere ma presenti all’altezza delle ginocchia.
-L’hanno tirata giù… Va bene, arrivo. Non fare avvicinare nessuno
-Signore hanno chiamato dalla centrale, ordini superiori. Il corpo è stato portato via già. Mi spiace ma non ho potuto fare nulla. Mi è stato espressamente ordinato di avvertirla solo a cose fatte.
-Randazzo non ti preoccupare, hai fatto il tuo dovere. Prendo l’auto, ci vediamo in centrale, fatti dare un passaggio, io devo fare prima un paio di giri.
-Dove… No, aspetti, me lo dico da solo, mi faccio i cazzi miei
-Vedi che piano piano ci arrivi da solo?