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Il Kraken

30 Mar

Sono due notti che sogno di nuovo.
Non ho mai capito cos’è che rende i sogni vividi e presenti nei ricordi al risveglio e cosa fa passare le notti nel buio totale di un sonno che è come una morte apparente.
Grossomodo le cose che faccio prima di dormire sono sempre le stesse: fumo sigarette perché non ho più soldi per le canne, bevo, vino o birra che sia durante i pasti, un paio di bicchieri di qualcosa di forte prima di mettermi giù.
Leggo un po’. Finalmente riesco a leggere un po’, di nuovo.
Quella sensazione di mosche che ronzano nella testa, piano sta scomparendo. A volte di più, a volte di meno.
Poi spengo la luce e mi metto giù.
Non riesco subito a dormire, a volte anzi mi alzo di nuovo, giro una sigaretta in una cartina lunga, tossisco e mi verso un terzo bicchiere.
Quando finalmente crollo possono iniziare film nella mia testa o un semplice blackout fino al mattino.
Sono due notti che sogno soldi.
Tanti.
Due notti fa ero con la mia ex moglie e le mie figlie, probabilmente in un’Inghilterra vera come il Minnesota che abbiamo girato a Bracciano e Pescara lo scorso anno su un film adolescenziale.
Ci venivano consegnati pacchetti di banconote. Un quantitativo stordente di sterline.
Formati inventati per me da Morfeo in persona. Mazzette separate per taglio. Banconote da 50, 30 e 20. Che non so nemmeno più che formato e taglio abbiano in realtà le sterline.
Arrivavamo a contarne 60.000
Nel sogno avevo la certezza che fossero molti più soldi.
Anche se con 60.000 sterline ora risolverei un sacco di problemi.
Ma tanti.
C’era un’euforia tangibile tra noi, e non c’era traccia di paura o ansia. Magari quella che potrebbe venire nella realtà al momento di ricevere una simile somma in contanti.
Anche perché somme simili in contanti di solito sono frutto di traffici non troppo legali.
Nel sogno era tutto placido e tranquillo.
Ho faticato a svegliarmi.
Più che altro perché mano mano che il sogno diradava nella veglia mi rendevo conto che, nella realtà dei fatti sono povero in canna.
Il sogno di stanotte invece era un sogno ancora più allegro.
Ero sempre con ex moglie e figlia minore, in una città o paese del sud, in festa.
Ad un tratto arriva mia figlia grande, con i capelli corti. Bellissima. Si siede di fronte a me. L’unico momento che somiglia alla realtà è quando la guardo e la saluto imbarazzato. Lei spalanca gli occhi come mi vedesse per la prima volta e corre a darmi due baci sulle guance. Nel sogno e nella realtà ho sentito bruciarmi gli occhi e scendere due lacrime. Poi tutto torna a questa atmosfera di festa in piazza.
Avevo una borsa sportiva bianca, in pelle, di quelle anni settanta. Piena di euro.
Ed erba.
La tenevo in una specie di scantinato.
Anche se somigliava molto di più ad una cabina degli stabilimenti balneari. Quelle in muratura tipo “casotto”.
C’era un lettino a righe bianche e blu, su cui erano poggiati pochi panni e la borsa.
Noi eravamo a cena assieme ad una marea di gente. Facce amiche, sconosciuti, gente di cinema e vecchi banditi della mia gioventù.
Eravamo in una piazza su cui erano disposti tavoli pieghevoli di legno apparecchiati in maniera informale.
Tipo festa tra amici.
La piazza era piena di tavoli.
Ad un tratto decido di scendere nello scantinato, arrivo al lettino bianco e blu, scosto i panni ed apro la borsa.
Dentro ci sono giusto un paio di banconote da 50, e residui di cime d’erba. In una bustina di carta bianca e gialla c’è del cbd.
Dovrei essere incazzato nero, o quantomeno affranto. E per un momento è esattamente così che mi sento. Ma decido comunque di tornare alla festa.
Seduto al tavolo ho l’aria preoccupata. Ho portato con me la borsa stavolta. E continuo a guardarci dentro come potesse cambiare qualcosa ogni volta che la apro.
Ad un tratto vengo circondato da un gruppetto di persone. Amici del vecchio quartiere, piccoli tossici che non hanno mai visto la fine degli anni novanta e gente che è finita in galera prima che io imparassi a guidare.
Sono tutti attorno a me e mi dicono di stare tranquillo. L’unica cosa che devo fare, mi dicono mentre mi consegnano una ventina di grammi di erba grassa pressata insieme, è trovare un soprannome per questa canna.
Qui c’è Naso, c’è er Caciotta, c’è er Roscio, ce stai te che sei er Cipolla, devi trovare un nome per lei. E mi trovo a guardare sto malloppo d’erba che ora tengo in mano.
Io sorrido ed inizio a pensare tutti nomi assolutamente idioti, tipo l’occhio di Odino, il soffio del drago ed altre cazzate simili. Ricordo la sensazione di vuoto nella testa fino a che decido. Si chiamerà il Kraken.
Tutti entusiasti mi dicono allora dai, andiamo a dare l’annuncio.
Mi trascinano verso il centro della piazza, in modo da poter gridare a tutti il nome di questa canna da venti grammi che sta per essere preparata e fatta girare tra i tavoli.
Ma appena sto per gridare che lei si chiamerà il Kraken mi rendo conto che c’è un piccolo palchetto, di cui non mi ero accorto minimamente. E su quel palchetto si materializza un gruppo punk di sole donne, che stanno facendo crollare il marmo dalla chiesa antica per quanto sono infuriate e divertite insieme.
Il nome resterà con me. Che nel frattempo mi sveglio.
È mattina, sono le nove ed ho dormito parecchio.
Posso solo alzarmi e fare il caffè. Cercando di capire cosa cazzo mi passa per la testa.

Qualcuno mi ha mandato questa spiegazione.