Sapienza cinese

27 Apr

Un odore da chiesa psichedelica, quello che ti aspetti di sentire entrando nell’antro di un mago orientale. Un misto di essenze bruciate, vago profumo di oppio, pareti giallo senape, sottofondo di sigaretta spenta. Un divanetto che ha ospitato migliaia di dolori e pesi diversi, bianco sporco, come colore, e forse un po’ anche come sostanza che ne permea il tessuto.
Quando vengo qui è sempre perché sono ridotto male fisicamente.
Una volta sono entrato piegato a libretto, dopo un lavoro infame col più infame degli scenografi, uno che si nutre del sangue dei manovali. Nonostante gli esercizi fatti con costanza e abnegazione, nonostante l’ottima forma raggiunta, nonostante il risolvere ogni dolore con la ginnastica, in quel caso qualcosa si era rotto.
Mentre viaggiavo in metro una ragazza guardandomi mi aveva chiesto se ce la facessi a camminare.
Le ho detto:
-No, ma sto andando dal mago.
Ho fatto 350 metri in venticinque minuti, fermandomi ogni dieci per riprendere fiato.
Sono entrato nell’antro, ho pianto per il dolore dei massaggi, ho amato ogni ago che mi ficcava nei punti nevralgici, ho amato il calore e resistito oltre l’umana possibilità nonostante il mago mi avesse detto chiamami quando senti che bruciano.
Sono uscito da quel posto come nuovo.
Mi ha rimesso in piedi in una seduta.
Huang è il dio in terra del combattere il dolore col dolore.
Ieri sono arrivato col muscolo del polpaccio strappato.
Non so come né perché.
Stavo dando due calci al pallone con mia figlia, con già un dolore persistente da giorni ma sopportabilissimo.
Ad un tratto ho sentito una sassata sul punto esatto che già era dolorante.
Sentito nel senso che ho percepito un oggetto colpirmi, con tanto di tipico rumore.
Un rumore sordo. Un bruciore improvviso.
Da quel momento non ho più potuto poggiare il piede a terra.
La sera il polpaccio era il doppio dell’altro.
Ovviamente qualche giorno prima di partire per un lavoro di un mese tra Potenza e Matera, il primo da caporeparto.
Sottopagato, ma da caporeparto.
Ieri ho capitolato: ho chiamato Huang.
Esco a Lucio Sestio, 350 metri, i soliti.
Passo attraverso piazza dei consoli con l’andatura del reduce di guerra che ha perso entrambe le gambe.
Velocità di crociera cinque metri al minuto.
Il passo è quello che mi padre definiva punto e virgola.
Come il mio vecchio bidello delle elementari.
Gamba sinistra fa il punto, gamba sinistra la virgola, spazzando l’aria intorno a me.
Piede rigorosamente aperto verso l’esterno.
Tum, tap, tum, tap.
Piano piano arrivo allo studio e vengo accolto dal profumo d’oriente.
Huang in mascherina mi fa accomodare e inizia a toccarmi il polpaccio dolorante.
Non urlo per partito preso, ho una discreta sopportazione al dolore ed una timidezza che mi impedisce di manifestarlo.
Ma mi aggrappo al lettino come fosse un vagoncino di quelli delle montagne russe alla curva con avvitamento più pericolosa di tutte.
Tiro fuori l’aria con tanta di quella sofferenza che esce qualche goccia di saliva.
Ti sei strappato il muscolo, mi dice.
Manipola un po’ e poi va di agopuntura.
Per distrarmi mi metto a leggere la sceneggiatura in portoghese che mi hanno inviato.
Mi sanguinano gli occhi.
Poi penso che il film più imbarazzante che ho fatto lo scorso anno al momento è il più visto globalmente su una delle piattaforme più importanti del mondo.
Questo potrebbe essere in lizza per essere il più imbarazzante mai fatto.
Hai visto mai che vince l’Oscar?
Finisce la seduta.
Il dolore è dimezzato.
Non so come faccia.
Ma lo fa.
È la sapienza millenaria credo.
Oppure quegli aghi sono impregnati di qualcosa che non ho mai provato prima.
Mi chiede quando devo partire,
-Lunedì mi vengono a prendere per scendere a Potenza, dico.
-Vabbè cerca di venire pure domani.
Oggi sono di nuovo dal mago.
Altra seduta, dolore ad ogni tocco, gli aghi, che di solito non mi fanno né caldo né freddo, stavolta sembrano andare a infastidire i nervi.
Quando brucia chiamami, mi dice.
Lo faccio, per la prima volta, ben due volte.
-He sì, dice sempre.
Forse per non intaccare quello straccio di parvenza da duro che cerco di mantenere, pur avendo la faccia da bambi nel bosco dopo che la madre è stato ammazzata.
Ora sono qui, con il cerottone verde da sportivo ben tirato lungo la fascia muscolare, e mi pare proprio di stare meglio.
Da adesso devo solo pensare a tutta una serie di altre cose di cui non vi parlerò.
In fondo ci sono pure fatti che devono restare privati.
Almeno fino alla prossima volta in cui deciderò di metterli in pubblica piazza.
Ma sono troppo lucido per farlo, ora.

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