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Il grande niente.

26 Mar

Ancora una volta quel sogno vivido.
Era nel suo vecchio quartiere, gli alberelli in fiore e l’abbigliamento delle persone faceva pensare fosse primavera inoltrata.
Una melodia attraversava l’aria mentre lui ci nuotava in mezzo. Volava. O meglio fluttuava in aria come stesse nuotando libero e leggero.
Attraversava il quartiere e sconfinava in quelli vicini, osservando tutto dall’alto.
La gente lo guardava, i bambini lo indicavano e lui si sentiva felice.
Poi al risveglio tutto tornava lentamente ad essere uguale a sempre. Un tutto uguale a sempre in cui lui si sentiva tutto meno che felice.
Inseguire i propri sogni equivale ad alimentare desideri irrealizzabili.
La sua amica espertona di sogni ed interpretazioni gli aveva dato la sua spiegazione: il suo fluttuare in aria al di sopra di tutto e tutti era un modo in cui il suo subconscio gli stava dicendo, secondo lei, quanto inadeguato si sentisse rispetto alle sue relazioni personali. Quella sensazione di felicità era quella che lui cercava nella sua vita, e che gli sembrava così impossibile da ottenere da essere rappresentata dalla sua capacità di volare.
Se solo si fosse guardato intorno si sarebbe reso conto che quella serenità e felicità erano molto più a portata di mano di quanto non pensasse.
Lui era stato ad ascoltare un po’, poi inventando una scusa qualsiasi aveva riagganciato il telefono. E si era acceso una sigaretta guardando fuori.
Pioveva ed il cielo era scuro. Le parole della sua amica espertona gli sembravano un po’ tirate per i capelli. Indubbiamente stava vivendo un momento complicato, ed evidentemente non si sentiva né a suo agio né adeguato per qualsivoglia relazione umana. Tranne pochi casi sporadici.
Ma da qui a dire che un sogno in cui volava e si sentiva felice significasse tutte quelle cose, ce ne passava.
Forse era solo una di quelle fasi della vita in cui si sta meglio nella fase onirica che in quella di veglia. Ne aveva passate tante simili in gioventù. Magari avevano qualcosa a che vedere con la depressione, ma non avrebbe indagato in questo senso.
Si sarebbe tenuto i mostri ben chiusi nella testa come aveva sempre fatto, in attesa che morissero di fame o che almeno entrassero in letargo.
Per un tempo indefinito.
Il suo anestetico principale era il lavoro: la stanchezza fisica, la soddisfazione di avere portato a termine qualcosa, il bonifico, i vecchi amici che si incontravano ogni volta, ogni volta diversi. Le giornate passavano veloci.
Quell’anestetico in particolare mancava da troppo tempo. Il suo settore era fermo e da mesi era uno dei tanti disoccupati dello spettacolo che riempivano i bar di pomeriggio.
In altri tempi queste pause, mai così tanto prolungate, erano servite per rinfocolare i sentimenti, per dedicarsi alle cose che lo appassionavano.
Ora non aveva voglia di suonare né di disegnare, si limitava a tracciare qualche riga di parole inutili, di quando in quando.
Il resto era il nulla. Non c’era.
C’era solo un grande vuoto.
Il grande nulla, volendo metterla sul poliziesco hard boiled.
In questo grande nulla si limitava a cercare di dormire e sognare. Magari di essere felice. Giusto per ricordarsi per un momento che sapore avesse, questa famosa felicità, prima che l’amaro del caffè lo riportasse sempre al presente.
Un presente oscuro. Senza speranze, senza vie di uscita.
Un presente di rinunce.
Un presente che in passato non avrebbe mai pensato di tornare a vivere.
Fatto di incertezze assolute. Fatto di insicurezza e paura.
Un presente che non avrebbe portato a niente altro che voglia di dormire.
Aspettando un momento più adeguato per tornare a volere svegliarsi.
Nella vita aveva sperimentato moltissimi momenti di insonnia. Anche in momenti in cui gli sembrava di sentirsi a posto con la coscienza. Ora, dopo un lungo periodo di questi, era come se il suo corpo gli stesse dicendo in realtà, bene sono due anni che non dormi e mangi pochissimo. Ora, siccome sono il tuo organismo ti dico quello che farò: da questo momento avrai sonno in ogni momento e una fame atavica che ti perseguiterà. Ti farò riprendere ogni chilo di tutti quelli che hai perso.
E potrai dare la colpa a chi vuoi, non mi interessa.
Perché in realtà è tutto solo nella tua testa malata. Tutto.
Niente di tutto quello che ti circonda è vero.
È tutto frutto della tua fantasia adolescenziale. Che a cinquant’anni suonati sarebbe ora che cambiasse un po’.