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Veterano

5 Mar

Fumava come un veterano di guerra, fino ad annientarsi. Un bicchiere fisso davanti ad uno sguardo socchiuso. Come dovesse prendere la mira ma su un bersaglio non situato nella nostra dimensione.
Apriva la finestra per fare entrare aria fresca e togliere quell’aroma inconfondibile.
Per non fare arrivare sul pianerottolo quel profumo d’erba così pungente.
Come ogni veterano di guerra conviveva con una costante paranoia. Quella che appartiene alla sfera del disagio, per la precisione.
E per questo fumava fino ad annientarsi.
Aveva passato gli ultimi due giorni a dormire. Mangiare e dormire. Sarebbe stato invidiato da qualsiasi gatto domestico.
A parte le spese, che erano a carico suo.
Non volere pensare è un’attività che richiede uno sforzo mentale non indifferente. Il nostro veterano ce la mette tutta. Ma le ombre restano, per quello le riempie di fumo. Spara a casaccio nella nebbia, potrebbe colpire qualcuno dei suoi compagni, se fosse davvero in una giungla immersa nella nebbia.
Invece siamo in una salone, c’è un divano, un tavolino e un veterano.
Buste e barattoli, filtri e cartine, tutto sparso sul tavolo, piccoli cerchi umidi dove il bicchiere è stato poggiato.

“A cos’è che non vuoi pensare?
Davvero vuoi saperlo? Ho preso appunti, puoi leggere tutto quello che c’è scritto qui sopra, e puoi andare avanti, indietro, il succo è che non voglio pensare al futuro, perché mi spaventa, non voglio pensare al presente, perché non mi soddisfa, e non voglio pensare al passato, ma la testa ci va lo stesso, di continuo.”

Da qualche parte è scritto e certificato che parlare da soli è un sintomo di disturbo psicologico, lui ha risolto parlando con un interlocutore immaginario, seduto su una poltrona di tela coperta con un panno rosso scuro.
A volte è un’interlocutrice, a volte un interlocutore, e lui si esprime, gli dice tutto quello che pensa dal profondo.
Mentre piano scivola verso una visione della realtà definitivamente compromessa.
Con quella deve fare i conti ogni volta che è costretto a prendere decisioni importanti.
Non fa che tentare di ripensare a tutte le maniere in cui è riuscito a uscire dai casini negli anni, tutto quello che gli viene in mente è una colonna sonora, un misto di Slint, Sebadoh, Pavement e Dinosaur Jr.
Essere maledettamente umorali era un altro sintomo di eventuali squilibri psichici che non andava sottovalutato.
Per questo gira un’altra canna grassa e mal fatta e l’accende impaziente.
Fino a due settimane prima il punk del South California. Tutto quel senso di onnipotenza dato dal niente da perdere si era trasformato di nuovo nell’istinto #35: posizione fetale e pensieri di rimpianto e diniego per essere venuti al mondo.
Erano pacchetti completi, comprendevano tutta la gamma di emozioni previste in base al numero in codice del pacchetto.
Playlist inclusa ovviamente.
Fortunatamente c’era l’erba.
Che era un pensiero così elementare da non potere in nessuna maniera essere sbagliato.
“Fumo e non penso.
Fumo e tutti i mostri se ne restano negli angoli all’ombra. Fumo e scrivo. Fino a che non mi si chiudono gli occhi e smetto di pensare. Che a volte somiglia a pregare.
E nessuno qui ha intenzione di mettersi a pregare. Mi senti soldato?”