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Runner

23 Giu

Ci sono canzoni che hanno un crescendo e sfumano piano, altre che partono immediatamente come treni e si troncano alla fine come fossero state inghiottite dal silenzio.
Farne un parallelo con le storie umane è quasi naturale.
Ci sono storie che si chiudono piano, sfumando, esaurendo la spinta iniziale.
Altre che finiscono all’improvviso, senza segnali o quasi.
È stata una domenica pigra, di pulizie in mutande e aria fresca in finestra.
Quasi nessun contatto umano.
Il telefono usato praticamente solo per ascoltare musica.
Che è una frase che ha un senso solo da qualche anno a questa parte.
Quando ero un ragazzo una frase come questa non poteva semplicemente essere detta.
Perché era come dire che avresti visto un film al frigorifero.
Ma il futuro pare essere questo.
Domani alle 5:45 sarò per strada, verso il service dove è parcheggiato il Pasino di macchine da presa.
Lo prenderò e lo porterò verso Anguillara, dove c’è una villa che sarà il set di domani e dopodomani.
Tra un paio d’ore dovrò uscire per essere alla stazione a prendere una persona.
Ciò vuol dire che dormirò poco ed un cazzo.
Tanto non avrei dormito comunque.
Come ogni volta che devo fare un lavoro che non è il mio e per cui non mi sento sufficientemente pronto, resto sveglio ad immaginare scenari tremendi.
Figure di merda, che al cinema diventano lettere scarlatte, marchi di infamia.
Imprevisti che svelano il fatto che stai improvvisando.
Questa cosa mi è successa a lungo anche prima di ogni lavoro con scenografia.
A meno che non fosse manovalanza pura e dura.
Da un po’ di film non mi capita più ed anzi, l’idea di un bonifico assicurato per un tempo breve o lungo che sia, mi fa dormire come un pupo.
Quello di domani e dopodomani non è esattamente un incarico difficile, ma non l’ho mai fatto.
Non ho mai fatto il runner e soprattutto non ho mai lavorato con macchine da presa.
Il mio rapporto più stretto è stato quando, dopo quasi quattro mesi di riprese dove lavoravo come aiuto di scena, un operatore nel dover scendere dalla barca ha chiamato me, per affidarmi la steady cam.
Cosa che è stata una grande prova di fiducia e che mi ha terrorizzato ma riempito di stupido orgoglio per un momento.
Però non ho altri appigli a cui appellarmi.
Quando si formano i gruppetti di colleghi, in base ai reparti si raccontano esperienze varie tipo veterani di guerra.
Io spesso me ne sto zitto e ascolto, a volte divertito, a volte annoiato.
Ma come autista di mezzi tecnici non ho molto da dire.
Siamo veterani di corpi diversi.
Il mio mezzo tecnico è un Pasino di scenografia di solito.
Portiamo attrezzi per lavorare e cianfrusaglie, bevande per fare alcolici finti, giornali vecchi, buste, ombrelli, qualche telefono o delle penne d’oca, a seconda dell’ambientazione del film o serie che stiamo facendo.
Cime spesse, raffia, juta, catene, insomma difficilmente abbiamo carichi così costosi e tecnologici.
Per i prossimi due giorni avrò a che fare con questa roba e queste persone con cui si solito mi relaziono in altro modo:
Cerco un monitor o vado in macchina a parlare con l’operatore per capire il movimento e quello che vedrà.
Domani probabilmente scaricherò i loro carrelli e box vari, il loro easy up, li aiuterò a spostarsi e poi, per tutta la durata delle riprese dovrò fare altro che non so.
Crogiolandomi su questa delicata ansietta da prestazione mi giro un’altra sigaretta e resto a guardare il cielo scurirsi piano davanti ai miei occhi sempre sorpresi da questo semplice accadimento quotidiano.