O’Hara

21 Giu

È stata una mossa veramente azzeccata la tua, mi dice la mia coscienza facendomi l’occhiolino. Oggi è vestita di nero. Non come ieri che, sotto, aveva una maglia grigio canna di fucile.
Sei stato davvero avveduto.
Tutti quei conti che ti facevi in testa, le supposizioni, tutte le congetture e gli scenari, a cosa ti sono serviti, se poi ti sei tuffato a carpiato nel liquame?
La osservo senza sapere che dire. In mano stringo tre metri di corda terminanti in un cappio. Nell’altra ho del sapone.
Mi fa la gentilezza di distrarsi mentre li ripongo, dal momento che non ho travi al soffitto per legare la suddetta corda.
Si aggira per casa fumando una sigaretta.
È l’ennesima che si aggira per casa mia con una sigaretta. Io odio l’odore delle sigarette in casa.
Si impregna molto più di quello delle canne.
È per via della carta.
Osserva il poco mobilio con aria superiore.
Vorrei ricordarle che è la mia coscienza, quindi tutta sta prosopopea è fuori luogo, dal momento che ci conosciamo intimamente da almeno cinquant’anni.
Pure la lascio fare. È il mio problema: lascio fare. Dico ok, è tutto a posto. Invece dentro sento un sasso puntuto che mi trafigge le viscere mentre lo ingurgito.
E tento un sorriso che con il passare degli anni è sempre meno credibile.
Da ragazzo avevo la faccia di palta.
E quando provavo quel senso di rancorosi succhi gastrici in fermento, pensavo sempre, sempre: tanto alla fine rido io.
Trovavo sempre il modo di vendicare uno ad uno tutti i torti che pensavo di aver subito, in due mosse da abile scacchista.
Lo dico dall’alto della mia assoluta incapacità nel giuoco degli scacchi.
Comunque la facevo così sporca da togliermi delle soddisfazioni.
Intanto il mio karma si allenava nelle palestre clandestine di Saigon.
Facevo soffrire per il fatto di avere sofferto.
Rendevo il proverbiale pane per la proverbiale focaccia. Secondo il mio punto di vista.
Intanto il mio karma aveva già iniziato a combattere, e vincere, in degli incontri improvvisati fatti in certi garage di Ciudad Obregon, Mexico.
Pronto per affrontarmi a viso aperto una volta che la vita, altra stronza che conosco da cinquant’anni, mi avesse piegato un po’.
Le mie donne stasera sono la solitudine, la coscienza e la vita stessa.
L’unico altro uomo invitato a questa serata tra nemici, è il karma.
Non ho ben chiaro che cosa vinco se, caso mai, dovessi sconfiggerlo, ma non è tanto importante perché so già che mi farà il culo a strisce
Per citare Maupassant.
Nel frattempo mi verso un gin tonic ed osservo la bottiglia giunta alla sua seconda metà, con aria sconsolata.
Pure faccio il cenno, come a dire:
-volete?
sperando ardentemente che dicano di no.
Invece dicono tutti sì.
Ci scoliamo sto chupito di gin tonic e poi restiamo a guardarci.
Come sempre il fumo ce l’ho solo io. Perché il problema è il mio quindi devo provvedere io.
Però una volta accesa la canna è come con le patatine fritte al pub: mille mani che rubano solo un tiro, o solo una patatina. A seconda .

Provo a mettere su un po’ di musica. Ultimamente ascolto praticamente solo Coez e Frah Quintale. Forse quelli che parlano di crisi di mezza età non hanno così torto, mi suggerisce la coscienza mentre cicca ovunque con quella cazzo di sigaretta.
Giro per la sala con la scopa ed il raccogli immondizia, a vuoto perché quando sto per arrivare al mucchio di cenere la vita ci passa sopra con dei tacchi numero dodici. E la sparge ovunque.
Lascio scegliere a loro che musica mettere.
Il karma propone i Neurosis, però il primo disco. Quello che mi fa cacare.
La vita propone un Luigi Tenco e la coscienza il silenzio.
Scegliamo tutti il silenzio.
Luigi Tenco oggi non mi farebbe arrivare nemmeno all’ ora di merenda.
Già mi vedo:
-mi sono innamorato di te
Io che apro la finestra
-perché non avevo niente da fare
Io che prendo la rincorsa
-Il giorno volevo qualcuno da incontrare
Io che salto nel vuoto
-La notte volevo qualcosa da sognare…
Io che mi sfondo un ginocchio e cado all’indietro sul pavimento della sala, guardato con disprezzo dagli altri, perché non sono stato in grado di fare un salto così facile.
Già immagino la vita ridermi dietro mentre la coscienza si copre gli occhi e calcola il peso di quest’altra onta da portarsi appresso, nel suo zaino nero.

Decido che ne ho abbastanza.
Guardo il karma negli occhi e gli dico:
-tu sei tornato per me, è inutile girarci intorno. Avanti facciamola finita.
Lui mi sorride e mi dice che non aspettava altro.
Si alza in piedi. E la luce tramonta nella sala.
È alto e largo come quell’armadio a otto ante ad angolo che abbiamo smontato una volta in quattro. Faticando.
Fa schioccare le nocche e guizzare i muscoli. Poi digrigna i denti. Quando il morso è al massimo dello sforzo sembra che abbia nascosto due albicocche agli angoli delle mascelle.
Ho preso tante botte nella vita. Mi sono fatto male in ogni modo. Anche abbastanza seriamente. Ma a giudicare da quello che ho davanti, tutto il male che ho provato fino ad oggi è stata una passeggiata.
Sto per prendere la batosta più grossa della mia intera esistenza.
Sapevo che sarebbe tornato un giorno.
Ma ho fatto come tutti: ho pensato sempre che quel giorno non poteva essere oggi.
Al massimo domani.
E dopotutto domani, come recita l’antica massima secessionista, è un altro giorno.


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