Prescelto dal signore

16 Giu

È praticamente estate, durante il giorno si arriva facilmente ai trenta gradi, si gira in calzoncini ed infradito per andare a prendere le sigarette, metto praticamente solo camice perché solo l’idea di indossare una t-shirt mi fa sudare tutto quello che ho bevuto dal ’93 ad oggi.
Eppure continuo a starnutire e soffiarmi il naso.
Sono raffreddatissimo e non capisco come sia possibile.
Mi sento un prescelto dal signore, come Giona. Che visse nella balena.
Come Giobbe e le sue piaghe.
Faccio pigramente il casalingo in questa domenica di metà giugno. Lavo i pavimenti, faccio lavatrici. Tutto in mutande.
Aspetto il momento giusto per aprirmi una birra. Giro una sigaretta dopo l’altra.
Guardo il cielo, certo del fatto che, ora che ho steso le lenzuola, verrà giù a piovere.
Non è pessimismo il mio, ma realismo obiettivo. Lo dico da tanti di quegli anni che ho finito per crederci davvero.
Guardo le persone fiduciose nel domani con sospetto.
L’ottimista sa qualcosa che io non so.
Tipo i nomi giusti da fare in questura quando vengono pizzicati con le mani nella marmellata.
Tipo i numeri giusti da chiamare quando finisce un lavoro e ne hanno già un altro pronto.
Tipo i santi da pregare e l’orario in cui farlo.
Non come me.
Che mi limito a bestemmiarli tutti.
Democraticamente.
Ogni culto, ogni idea politica, ogni cultura merita di essere insultata con uguale energia.
Senza fare differenze.
Consumo pacchetti di fazzoletti come un adolescente solo in casa per un fine settimana intero.
Solo che io mi soffio solo il naso.
Osservo i rami degli alberi fuori dalla finestra, che danzano delicati, mossi da un vento leggero.
L’aria sulla pelle mi fa venire una strana pelle d’oca.
Ricevo notizie che mi fanno venire un mal di stomaco da nervi come non mi capitava da anni.
Ma questo è il massimo che posso dire a riguardo.
Come dire che sono solo cazzi miei.
Sono il prodotto di un’equazione sbagliata.
Non potevo uscire giusto in nessuna maniera.

“Ho scritto le parole più grandi di me
Ci pioveranno addosso come grandine
Ti ho fatto da ombrello, adesso che il tempo si è fatto più bello non ti servirò.
Mi hai fatto da ombrello, adesso che il tempo si è fatto più bello non mi servirai”*

Nuvole grandi e morbide colorano il cielo azzurro. Una punta di grigio, un off white per non sparare in macchina.
Pensieri come nuvole gravide offuscano la ragione che pure deve essere da qualche parte in questo cervello.
Musica, continuamente musica.
Non so stare senza.
Passo dal rap della west coast ai pavement, dal romanticismo malinconico di Coez alla voce rabbiosa di Vinnie Paz e il suo progetto Jedi mind tricks.
Dagli Stone Roses al garage dei Music Machine. Dall’urlo di Zach de la Rocha con i suoi Inside Out a Edith Piaf.
Senza soluzione di continuità, come la vita disordinata che faccio.
La giusta colonna sonora è questa eterogenea playlist dove c’è di tutto dentro.
Pezzi romantici e violenza sonora, tristezza in musica, rancore su spartiti suonati ad orecchio.
Non ho forza per odiare più niente e nessuno.
Mi concentro sul mio vero nemico mentre ci fissiamo allo specchio.
Intanto finisce un’altra sigaretta, potrebbe essere l’ora giusta per aprirsi una birra ghiacciata. Fare una doccia calda. Chiudere gli occhi su un mondo che ha chiuso gli occhi da tempo.
Lasciare che anche questa domenica finisca senza guardare l’orologio.
Alzare il volume alla musica fino a non sentire più tutte le mosche che ronzano dentro questa testa.
Oppure prendere un’aspirina e sperare che questo raffreddore passi in fretta.

* Coez “le parole più grandi”

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